IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la seguente ordinanza sul ricorso n. 803/1983 reg.
 sez., proposto da Nani  Vincenzo  rappresentato  e  difeso  dall'avv.
 Antonio  Civai  ed  elettivamente  domiciliato  presso  lo studio del
 medesimo in Napoli alla piazza Mercato n. 196; con l'intervento della
 Fer.Fab-S.r.l. Lavori edili, in persona degli amministratori Fabrizio
 Di Domenico e Roberto Di Lorenzo, rappresentata e difesa  dall'avv.to
 Antonio  Lamberti  ed  elettivamente  domiciliato  in Napoli alla via
 Mattia Preti n. 10, contro il comune di Napoli, in persona del legale
 rappresentante  pro-tempore,  rappresentata  e difesa dall'avvocatura
 municipale, per l'annullamento dell'ordinanza n.  20651-01298  dell'8
 luglio  1982, depositata in data 16 dicembre 1982 presso l'avvocatura
 municipale ai sensi  dell'art.  140  del  c.p.c.,  con  la  quale  si
 dispone, ex art. 15, terzo comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10,
 l'acquisizione al patrimonio comunale del suolo e  della  costruzione
 siti in Napoli alla via Cimitero viale Privato delle Mimose, traversa
 in fondo a dx, seconda costruzione a sx,  Secondigliano,  nonche'  di
 tutti  gli atti preordinati, connessi e conseguenti ed in particolare
 dell'ordinanza di demolizione n. 14998 del 29 maggio 1982;
    Visto  il  ricorso con i relativi allegati notificato e depositato
 rispettivamente il 27 gennaio e 26 febbraio 1983;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
    Visto l'atto d'intervento della Fer.Fab S.r.l.;
    Viste  le  memorie prodotte dal Comune resistente a sostegno delle
 proprie difese;
    Visti gli atti tutti di causa;
    Udita  alla  publica  udienza  del 14 giugno 1989 la relazione del
 Referendario dott. Renzo Conti;
    Udito altresi' per le parti l'avv.to Lamberti;
    Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    Con  il  ricorso in epigrafe il ricorrente ha impugnato gli atti e
 proposto le domande indicati in epigrafe deducendo:
      1)  l'illegittimita' costituzionale della legge 28 gennaio 1977,
 n. 10, per violazione dell'art. 42 della Costituzione;
      2)  l'illegittimita' Costituzionale della citata legge n. 10 per
 violazione dell'art. 3 della Costituzione;
      3)  l'illegittimita' costituzionale della citata legge n. 10 per
 violazione degli artt. 42 e 44 della Costituzione;
      4)  violazione  dell'art. 32 della legge urbanistica; difetto di
 procedimento; eccesso di potere; violazione della  legge  28  gennaio
 1977,  n.  10, art. 11, quarto e ottavo comma; violazione delle norme
 sui procedimenti amministrativi;
      5)  violazione  della  legge  comunale provinciale e delle norme
 sulla competenza degli organi comunali;
      6) mancata indicazione e comparazione degli interessi;
      7)  violazione  e falsa applicazione della legge 17 agosto 1942,
 n. 1556, della legge 6 agosto 1947, n. 765, della  legge  28  gennaio
 1977,  n.  10,  del  r.d.  3 marzo 1934, n. 383, nonche' dei principi
 generali in materia di diritto di  proprieta'  e  di  repressione  di
 pretesi abusi edilizi; eccesso di potere; errore nei presupposti;
      8)  difetto  di  motivazione;  sproporzione  ed  iniquita' della
 sanzione; violazione art. 15 della legge n. 10/1977.
    Con  atto  di intervento ad adiuvandum si e' costituita la Fer.Fab
 S.r.l., la quale, riproducendo sostanzialmente gli stessi  motivi  di
 gravame  proposti  dal  ricorrente  principale,  ha  concluso  con la
 richiesta di accoglimento del gravame.
    Si  e'  costituito  per  resistere  il comune intimato il quale ha
 opposto l'inammissibilita' e comunque l'infondatezza del gravame.
    La causa e' stata quindi chiamata e posta in decisione all'udienza
 pubblica del 14 giugno 1989.
                               F A T T O
    Con  sentenza,  non  definitiva, deliberata il 14 e 28 giugno 1989
 questo tribunale  ha  dichiarato  il  ricorso  inammissibile,  quanto
 all'impugnativa della diffida a demolire, mentre lo ha rigettato, per
 quanto si riferiva all'impugnativa  dell'ordinanza  di  acquisizione,
 con  riferimento  a  tutte le censure proposte ad eccezione del terzo
 motivo   di   gravame,   nella   parte   in   cui   veniva   eccepita
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  15,  terzo  comma, della
 legge 28 gennaio 1977, n.  10,  per  violazione  dell'art.  42  della
 Costituzione  limittamente  alla  previsione di acquisizione gratuita
 (anche) dell'area su cui insiste la costruzione abusiva.
    Il  tribunale,  pertanto,  avendo  riconosciuto  la  non manifesta
 infondatezza e la rilevanza della predetta  questione  sollevata  dal
 ricorrente  (nonche' dall'interventore ad adiuvandum) si e' riservato
 di pronunciarsi definitivamente dopo l'esito del  giudizio  da  parte
 della Corte costituzionale.
                             D I R I T T O
    Il  ricorrente  ha  sostenuto la incostituzionalita' dell'art. 15,
 terzo comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10,  per  contrasto  con
 l'art.  42  della  Costituzione,  nella  parte  in cui e' prevista la
 acquisizione  gratuita  al  patrimonio   indisponibile   del   comune
 dell'area su cui insiste la costruzione abusiva.
    Sulla questione il tribunale si e' gia' espresso con ordinanzna n.
 614/82,e anche se in relazione ad altro giudizio, e, non  sussistendo
 motivi   di   discostarsi,   non   puo'   che  riproporre  le  stesse
 argomentazioni, salvo verificare la sussistenza della rilevanza della
 questione  alla  luce  della  nuova disciplina dettata dalla legge 28
 febbraio 1985, n. 47, entrata  in  vigore  nelle  more  del  presente
 giudizio.
    Come gia' precisato nella citata ordinanza n. 614/82 la richiamata
 eccezione non appare manifestamente infondata.
    Invero  il detto terzo comma, dopo aver previsto la demolizione, a
 cura e  spese  del  proprietario,  della  opera  eseguita  in  totale
 difformita'  o  in  assenza  della  concessione,  ha  individuato  la
 conseguenza, per il caso di inottemperanza, nella confisca,  e  cioe'
 nella  gratuita  acquisizione  al patrimonio indisponibile del comune
 sia dell'opera che del suolo su cui la costruzione insiste.
    Indubbiamente  tale  confisca, a differenza della demolizione, non
 assume un carattere riparatorio  (ne'  in  forma  specifica  ne'  per
 equivalente)  dell'ordine  giuridico  violato; infatti la intervenuta
 violazione non viene riparata in forma specifica, stante che il  bene
 e'  conservato  in  essere; e neanche e' riparata per equivalente, in
 quanto il bene non e' conservato nelle mani del suo titolare.
    Non resta che da concludere nel senso che la confisca in argomento
 e' da annoverare tra le misure punitive.
    Indubbiamente   rientra  nella  discrezionalita'  del  legislatore
 stabilire la punizione da infierire  a  chi  commetta  illeciti;  non
 sembra  pero'  al  tribunale  che  tale  discrezionalita'  abbia  una
 latitudine  talmente  ampia  da  poter  attribuire  alle  sanzioni  i
 connotati propri di altri istituti giuridici.
    Ove  cio' avvenga, infatti, non di esercizio di potesta' normativa
 sanzionatoria  potrebbe  parlarsi,  bensi'  di  esercizio  di   altra
 potesta',   che   tuttavia,  mascherata  da  diversa  qualificazione,
 sfuggirebbe alle regole costituzionali che la disciplinano.
    E'  quindi da riterere che non il momen dato dal legislatore, o la
 collocazione nell'ambito delle leggi, siano rilevanti per qualificare
 una certa precisione normativa, bensi' le caratteristiche intrinseche
 della stessa previsione.
    L'acquisizione  della quale trattasi, apparentemente qualificabile
 come sanzione sia  per  la  intitolazione  (sanzioni  amministrative)
 dell'art.   15   in   esame,  sia  per  la  stretta  connessione  con
 l'aquisizione delle opere abusive (la norma  invero  prevede  che  le
 dette  opere  siano  "gratuitamente  acquisite,  con  l'area  su  cui
 insitono", in realta', a  ben  considerare,  sfugge  al  concetto  di
 sanzione.
    Posto   infatti  che  l'acquisizione  dell'opera  abusiva  rientra
 senz'altro in  una  logica  sanzionatoria,  in  quanto  si  trata  di
 determinare,  nel  titolare  del  prodotto dell'illecito compiuto, la
 perdita  dello  stesso  prodotto,  non  altrettanto  puo'  dirsi  per
 l'acquisizone  dell'area;  non si vede infatti come quest'ultima posa
 rientrare nella detta logica, atteso che costituisce un bene  diverso
 dalla costruzione.
    Infatti  la  costruzione ha una sua individuabilita' giuridica che
 non necessariamente si confonde con la individualita'  giuridica  del
 suolo.
    Ben  vero  che  vige  tuttora il principio, di derivazione romana,
 secondo cui quid quid inaedificatur solo cedit; tuttavia, a  parte  i
 temperamenti  di  carattere  patrimoniale stabiliti a tale regola dal
 codice civile (in particolare dall'art. 936),  e'  da  osservare  che
 l'ordinamento  giuridico  prevede l'istituto della superficie, in cui
 la proprieta' della costruzione  e'  separata  dalla  proprieta'  del
 suolo;  inoltre  le  leggi  sulla  edilizia residenziale pubblica (in
 particolare l'art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865)  prevedono
 che  sulla  maggior parte delle aree comprese nei piani delle zone da
 destinare  alla  cotruzione  di  alloggi  a  carattere  economico   e
 popolare,  ed  espropriate in favore di comuni e loro consorzi, venga
 concesso il solo diritto di superficie.
    Cio'  induce  a  ritenere  che  non  esiste  l'inscindibile unita'
 costruzione-suolo,  che  invece  il  legislatore   ha   mostrato   di
 presupporre  nel prevedere la confisca anche del suolo su cui insiste
 la costruzione abusiva. Del resto il suolo e' un dato  materiale  che
 preesiste  alla edificazione abusiva, ed esula quindi dal concetto di
 opera e edilizia abusiva.
    Sembra  quindi da ritenere che privare il soggetto anche dell'area
 non concreti una sanzione, bensi' una acquisizione preordinata a  una
 diversa finalita' (non punitiva).
    Diversa finalita' che invero e' da individuare nella utilizzazione
 del bene a fini pubblici; infatti  l'acquisizione  dell'area  su  cui
 insiste  l'opera  abusiva e' espressamente finalizzata, dall'art. 15,
 terzo comma, in esame, a tale utilizzazione.
    E' vero che la utilizzazione a fini pubblici e' prevista anche per
 la costruzione  abusiva;  tale  previsione  tuttavia  e'  pur  sempre
 connessa  alla  qualificazione  di illeceita' della costruzione, onde
 appare comunque non come il fine primario della  norma,  bensi'  come
 una   finalita'   che  la  norma  persegue  in  considerazione  della
 disponibilita'  che  dell'immobile  viene  ad   avere   la   pubblica
 amministrazione  a seguito della applicazione della sanzione; il fine
 principale della norma resta pur sempre quello di punire  il  sogetto
 che ha commesso un illecito.
    Nella acquisizione dell'area invece, come osservato sopra, il fine
 di sanzionare il  soggetto  autore  dell'illecito  non  si  rinviene,
 essendo  una  ipotetica  sanzione  di questo genere decisamente al di
 fuori   del   rapporto   illeceita'-sanzione,   e   quindi   rispetto
 all'illecito  priva  di  un collegamento che la renda ragionevole. Il
 fine primario appare in definitiva quello di avere la  disponibilita'
 del terreno per la sua utilizzazione a fini pubblici.
    Il  che  pero'  fa  assumere alla disposizione un deciso carattere
 espropriativo; nella espropriazione infatti si ha proprio il coattivo
 passaggio  della  proprieta' di un bene da un soggetto a un altro per
 motivi di pubblica utilita'.
    Ma  l'art.  42  della Costituzione stabilisce, per la legittimita'
 della previsione espropriativa, la fissazione di un  indennizzo,  che
 nella specie manca.
    Per  contrastare la suddetta qualificazione espropriativa potrebbe
 ritenersi che in definitiva il soggetto, lungi dal subire la  perdita
 dell'area,  in  realta' questa abbandoni spontaneamente, in quanto il
 provvedimento di acquisizione gratuita e' preceduto dalla  diffida  a
 demolire;  e,  ove venga ottemperato a tale diffida, non si da' luogo
 ad acquisizione.
    Tale  interpretazione  pero'  non  appare  sostenibile.  Non  puo'
 invero, dalla mancata ottemperanza all'ordine di demolizione, dedursi
 l'implicita  volonta'  dell'interessato  di  dismettere la proprieta'
 dell'area.  Infatti  nel  momento  della  adozione   dell'ordine   di
 demolizione  non e' certo che verra' senz'altro in prosieguo adottato
 il provvedimento di acquisizione, in quanto potrebbero rilevarsi  non
 sussistenti,  in  sede  di (futura) verifica, i presupposti per farsi
 luogo alla acquisizione; e comunque il provvedimento acquisitivo  non
 e'  l'unico  adottabile,  potendo  essere  emanato  in  suo  luogo il
 provvedimento di demolizione con spese a carico del proprietario.
    Ne'  potrebbe  ritenersi che una volta notificato il provvedimento
 di acquisizione, il soggetto possa utilmente demolire conservando  la
 proprieta' dell'area.
    La  censura  di incostituzionalita' della norma in esame non e' in
 definitiva manifestamente infondata.
    La  rilevanza della questione sollevata discende dalla esigenza di
 stabilire la legittimita' o meno del  provvedimento  di  acquisizione
 impugnato atteso che, come precisato in punto di fatto, essendo state
 ritenute  infondate  tutte   le   altre   censure   proposte,   detta
 legittimita'   rimane   subordinata   unicamente   al   giudizio   di
 legittimita' costituzionale del richiamato art. 15, terzo  comma,  in
 applicazione del quale e' stato adottato il citato provvedimento.
    Ne' puo' ritenrsi che la rilevanza della questione sia venuta meno
 per effetto dell'entrata in vigore, nelle more  del  giudizio,  della
 legge  28 febbraio 1985, n. 47, la quale ha, tra l'altro, dettato una
 nuova  disciplina  in  materia  di   sanzioni   nei   confronti   dei
 responsabili di abusi edilizi.
    Cio'  nella  considerazione  che  detta  ultima legge, all'art. 7,
 terzo comma, non solo ha confermato la possibilita'  di  acquisizione
 gratuita  al  patrimonio  indisponibile  del  comune dell'area sualla
 quale insiste l'opera abusiva, ma ha ulteriormente resa piu' grave la
 predetta  "sanzione"  estendendo l'acquisizione gratuita "all'area di
 sedime" nonche' a "quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni
 urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive",
 con il solo limite che "l'area acquisita non puo' essere superiore  a
 dieci  volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita".
    Ne'   risulta  che  il  ricorrente  abbia  proposto  l'istanza  di
 concessione in sanatoria ex art. 31 della citata legge n. 47/1985, la
 quale,  in caso di esito positivo della stessa, avrebbe reso non piu'
 rilevante la predetta questione di legittimita' Costituzionale.